Riolite milonitica
Milonite: Roccia caratterizzata da una scistosità ben sviluppata, derivante dalla riduzione di grana a seguito di processi tettonici, generalmente contenente porfiroclasti arrotondati e frammenti litici, di composizione simile a quella della matrice.Il termine milonite deriva dal greco "μυλων" (mulino), in quanto in origine si riteneva che queste rocce derivassero da processi fragili in zone di faglia (Lapworth 1885). Attualmente, il termine milonite è utilizzato esclusivamente per indicare rocce derivanti da processi duttili in zone di taglio. Il termine milonite è un termine strettamente strutturale, che indica unicamente la struttura generale della roccia, che non da nessuna indicazione sulla mineralogia della roccia.
Zone di taglio
In generale, la deformazione all'interno delle rocce non è distribuita in maniera omogenea. Questo causa comunemente la concentrazione della deformazione in strette fasce, dette zone di taglio, delimitate da due blocchi rigidi (le pareti della zona di taglio). Le due parti non deformate hanno subito uno spostamento relativo parallelamente ai limiti della zona di taglio. Tali zone sono un'importante sorgente di informazioni geologiche perché la deformazione causa lo sviluppo di fabric e associazioni mineralogiche caratteristiche che riflettono le condizioni P-T, il tipo di flusso (deformazione), il senso di movimento e la storia deformativa. Le zone di taglio possono essere suddivise in zone di taglio fragili (o faglie) e zone di taglio duttili. Le zone di taglio duttili si sviluppano solitamente a gradi metamorfici maggiori delle zone di taglio fragili. Le zone di taglio in natura possono avere dimensioni molto variabili, dallo spessore di pochi millimetri fino a zone di taglio lunghe centinaia di chilometri con spessori fino ad alcune decine di chilometri. Le zone di taglio maggiori, che attraversano la crosta fino al mantello, mostrano parti fragili e duttili (Fig.1). La profondità della transizione tra il comportamento a prevalenza fragile e duttile dipende da molti fattori come lo strain rate, il gradiente geotermico, la granulometria, il litotipo, la pressione dei fluidi, l'orientazione del campo di stress e il fabric preesistente.Fig.1: Modello semplificato che mostra la connessione tra la zona a deformazione fragile (caratterizzata da faglie) e la zona a deformazione duttile (caratterizzata da zone di taglio). La transizione fragile-duttile è graduale e dipende da numerosi fattori. In linea generale, per rocce di tipo granitico, avviene a circa 10-15 Km. Immagine tratta da Fossen, H. (2016).
Una zona di taglio duttile, all'interno di un corpo roccioso, è definita come un'area, generalmente limitata da piani sub-paralleli, all'interno della quale la deformazione duttile assume valori molto alti mentre la roccia al di fuori è relativamente indeformata ed i due blocchi sono spostati l'uno rispetto all'altro. Lo studio delle zone di taglio viene effettuato osservando le rocce sul piano che maggiormente esprime la componente rotazionale della deformazione e cioè il piano XZ dell'ellissoide dello strain, piano parallelo alla lineazione mineralogica ed ortogonale alla scistosità (Fig.2). Il senso di taglio delle miloniti può essere determinato osservando gli indicatori cinematici, sempre lungo il piano XY (Fig.3).
Fig.2: Rappresentazione schematica e semplificata di una zona di taglio. Nell'immagine sono riportati dei marker lineari e circolari, che permettono di determinare l'entità della deformazione. Immagine tratta da Jean-Pierre Burg.
Fig.3: Rappresentazione schematica delle principali strutture associate ad una zona di taglio. Il miglior piano di osservazione delle strutture deformative è quello perpendicolare alla lineazione, ovvero il piano XZ. Immagine tratta da Passchier (2005).
Nella maggior parte dei casi la deformazione nelle zone di taglio non è omogenea ma l'intensità varia passando da un bordo all'altro con il massimo della deformazione duttile nella parte centrale della shear zone. Dove la deformazione raggiunge valori molto alti, lungo la foliazione, si osserva una lineazione tettonica definita come lineazione di allungamento. Questa lineazione può essere evidenziata dall'allineamento di minerali lunghi ruotati durante la deformazione oppure, se le condizioni di P e T lo permettono, dalla isorientazione di minerali metamorfici di neoformazione con habitus allungato. La lineazione di allungamento può essere generata anche dall'isorientazione di oggetti deformati duttilmente come fossili o clasti. In entrambi i casi la lineazione d’allungamento si dispone parallelamente alla direzione di massima estensione (asse X dell'ellissoide della deformazione finita).
Processi di strain softening
Il fatto che nelle zone di taglio, la deformazione sia concentrata in una stretta fascia, implica che il tasso di deformazione, all'interno della zona di taglio stessa, deve essere superiore a quello presente ai bordi, e che le rocce dentro la zona di taglio siano più deformabili rispetto a quelle circostanti. Questo fenomeno è dovuto a numerosi meccanismi, detti di work softening (o strain softening) che portano alla localizzazione della deformazione. I principali meccanismi di strain softening sono:• Localizzazione geometrica (geometric softening): Durante la deformazione, i processi di ricristallizzazione portano allo sviluppo di orientazioni cristallografiche preferenziali e all’orientazione dei piani reticolari (piani cristallografici o di sfaldatura) su cui si ha movimento di dislocazioni, parallelamente ai limiti della zona di taglio (Fig.4).
Fig.4: Isorientazione dei piani di sfaldatura, parallelamente al senso di taglio. Questo processo favorisce la localizzazione della deformazione all'interno della zona di taglio. Immagine tratta da Jean-Pierre Burg.
• Reaction softening: Durante la deformazione la presenza di fluidi può indurre reazioni sintettoniche i cui prodotti sono generalmente minerali a grana piccola; questo facilita la deformazione. In altri casi si possono avere reazioni chimiche che trasformano minerali più competenti in minerali più facilmente deformabili (ad esempio la sostituzione dei feldspati da parte di sericite ecc.).
• Presenza d fluidi: La presenza di fluidi interstiziali può portare ad una riduzione della resistenza di una roccia e alla sua fratturazione e deformazione a valori distress più bassi del normale. Comune in serpentiniti, gessi o in rocce magmatiche che si deformano allo stato sub-solidus, cioè ancora in presenza di fuso.
Classificazione delle miloniti
Le miloniti possono essere classificate in base al grado metamorfico (ad esempio miloniti di alto grado) oppure in base alla litologia (come le miloniti calcaree o le quarzo-miloniti). Tuttavia, una delle classificazioni più utilizzate è quella che si basa sulla loto tessitura, e più precisamente in base al rapporto porfiroclasti/matrice:• Protomilonite: Sono rocce ai primi stadi di deformazione, contenenti più del 50% di porfiroclasti. Le protomiloniti presentano comunemente una struttura mortar, data da frammenti di roccia (spesso spigolosi) e cristalli immersi in una matrice a grana fine.
• Milonite: roccia foliata e lineata caratterizzata da una riduzione di grana. Nelle miloniti si ha tra il 10% e il 90% di porfiroclasti.
• Ultramilonite: rocce in cui la riduzione di grana è molto intensa. Hanno solitamente un colore molto scuro, e contengono meno del 10% di porfiroclasti.
Altri termini comunemente utilizzati sono blastomilonite e fillonite. Il termine blastomilonite indica una roccia milonitica con abbondanti blasti, derivanti da cristallizzazione statica (indeformati). Il termine fillonite è invece utilizzato per miloniti estremamente ricche in fillosilicati.
Il problema principale di questa classificazione sta nel fatto che le miloniti di alto grado, o le miloniti derivanti da rocce monomineraliche non presentano generalmente porfiroclasti. Per questo motivo una ultramilonite non rappresenta necessariamente il massimo grado di deformazione rispetto ad una milonite; tutto dipende essenzialmente dalle caratteristiche tessiturali del protolite di partenza.
Bibliografia
Le informazioni contenute in questa pagina sono tratte da:
• Bucher, K., & Grapes, R. (2011). Petrogenesis of metamorphic rocks. Springer Science & Business Media.
• Fossen, H. (2016). Structural geology. Cambridge University Press.
• Howie, R. A., Zussman, J., & Deer, W. (1992). An introduction to the rock-forming minerals (p. 696). Longman.
• Passchier, Cees W., Trouw, Rudolph A. J: Microtectonics (2005).
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• Vernon, R. H. & Clarke, G. L. (2008): Principles of Metamorphic Petrology. Cambridge University Press.
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